Ora siediti sulla scogliera, e prova ad immaginare. Immagina di avere sette anni, tu nel tuo piccolo borgo di mare a passare il pomeriggio a guardare le navi del porto, aspettare di vedere il peschereccio piu’ grande, e tuo padre che tra poco scende sul molo e ti viene a prendere. E insieme tornare a casa, in mezzo alla gente che al porto e’ sempre pieno, e stasera a cena pesce fresco e un poco forse di quello in scatoletta, che qui c’e’ la fabbrica dice mamma che costa poco. E sulla scogliera ci vai sempre, che e’ bello vedere che e’ sempre uguale, con le navi che vanno e vengono e che tu sia Karakalpako o Kazako o Russo poco importa perche’ a scuola dicono che siamo tutti russi. Nel cassetto il tuo sogno e’ di navigare, andare al largo a pesca nel peschereccio piu’ grande di Moynaq, raggiungere Aral e gli altri porti, tornare a casa la sera come papa’. Per questo appena ti fai uomo ti imbarchi, tutti dicono che il mare si sta abbassando, che sembra che si sia ritirato o asciugato, ma sulla nave non sembra mica: i pesci ci sono, si naviga come sempre, la scogliera sembra piu’ alta ma nei tuoi giorni nulla cambia. E dal 70 al 73 sei pescatore del lago di Aral, salato cosi’ che tutti lo chiamano mare, a prender pesci e tornare a casa la sera, dove la gente chiacchiera del mare che si asciuga. Ma e’ talmente incredibile che nessuno ci crede, voce o leggenda che si mischia col vento. Sono pochi gli anni sul peschereccio perche’ ti tocca andare nell’ esercito, a militare, qualche anno lontano dal mare che tanto il mare chi lo sposta, e parti col cuore leggero di chi va a scoprire da vicino quella Russia di cui fai parte.
E invece il mare qualcuno lo ha spostato, c’e’ ancora ma non e’ piu’ lo stesso. Si ritira verso il largo, lascia intravedere il fondo sabbioso, sprofonda nella sabbia e dal mare nasce il deserto. I pescherecci ci sono ancora, con le chiglie che sfiorano il fondo e d’improvviso sono inadeguate al loro stesso mare. Fossero piatte, come quelle da fiume che navigano i grandi fiumi russi, forse si muoverebbero eleganti sul filo dell’acqua. Ma cosi’ profonde sembrano balene arenate sulla riva e qualcuno si preoccupa di come mai le sposteremo. Ma poi, se il porto e’ qui, chissa’ mai dove dovremmo spostarle.
Il porto e’ rimasto, le navi sono ormeggiate come vent’anni fa, ma oggi manca il mare. Che senza il mare c’e’ poco da fare, il peschereccio dorme immobile nella sabbia e chi ha capito se ne va dove il mare c’e’ ancora o non c’e’ mai stato, perche’ li sanno cosa fare mentre noi qui, che siamo pescatori, non abbiamo piu’ di che pescare. E le fabbriche di lavorazione del pesce pian piano smantellano i macchinari, sprangano le porte, niente piu’ scatolette a cena a poco prezzo. E nel mare c’e’ il deserto e a Moynaq pure. Cosi’ te ne vai anche tu, un po’ in Kazakhstan, poi in Russia, poi in Ucraina e giri giri cosi’ non pensi all’Aral che ti doveva aspettare di ritorno dal militare ed invece poi non c’era piu. E con il mare e’ morto il tuo borgo, con il porto ed il russo sulla bocca di tutti, ed il pesce fresco e le scatolette della fabbrica, e tuo padre e tu sul peschereccio e prendere pesci.
E hai dovuto aspettare di avere 40 anni per capire che ne e’ stato del tuo mare, quando dopo la caduta dell’unione sovietica qualcuno ha iniziato a cercare di capire chi si e’ portato via l’Aral e d’altronde qualcuno a voi di Moynaq lo doveva pur dire. Se ti fanno sparire il mare da sotto le barche, una spiegazione per quella che sia ti serve, per non diventare matto. Cosi’ credi, finche’ senti che l’acqua dell’Aral e’ stata utilizzata per le coltivazioni intensive di cotone, che se la sono bevuta senza ritegno per sopportare i ritmi di crescita che l’unione gli chiedeva. E forse qualcuno lo poteva prevedere, o forse no, alla fine il tuo mare e’ diventato cotone. E ci puo’ stare, fa male ma te lo sistemi da qualche parte dentro di te. Poi pero’ quando ti dicono che sul’isola in mezzo all’Aral il governo soviet mise dei laboratori chimici per portare avanti degli studi o chissache’, e che i loro studi sono finiti nella tua acqua, nei tuoi pesci, nel tuo vento e ora nella frutta e verdura chemangi ed hai mangiato, nell’aria che respiri, nella terra del tuo giardino e che si sono prosciugati l’Aral – beh, questo un posto non loo trova. Non c’e’ posto per capire ne’ per scusare, non c’e’ neanche piu’ posto per la rabbia. Rimani a guardare le navi ancora ormeggiate al porto, arruginite e perfettamente allineate, il mare che ora dista 150 km dal porto di Moynaq sommerso da un deserto di sabbia che pian piano invade la citta’, cammini sul fondale ancora coperto di conchiglie di cui ti sei autoproclamato guardiano e aspetti che qualcuno adesso faccia qualcosa. Perche’ il mare non potra’ mai tornare, ma almeno Moynaq non morira’ sommerso da venti e sabbie che non ha mai chiesto.
(Uzbekistan – Moynaq – 18 luglio)